Abbazia di San Vincenzo al Volturno

Foto: Saverio Petrocelli

L’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno nasce nel 703 d.C. ad opera di tre giovani monaci beneventani (Paldo, Taso, Tato) che fondano il nucleo monastico originario di S. Vincenzo Minore: per i primi 80 anni si sviluppa sotto la protezione del ducato

longobardo di Benevento, poi la sua ascesa prosegue sotto la tutela dell’impero franco-carolingio. Con Autperto (abate nel 778) diviene uno tra i primi monasteri benedettini europei; con Carlo Magno, posto com’è sul confine meridionale dell’impero carolingio, riceve protezione e privilegi, tra cui quello della immunità ed il diritto alla libera elezione dell’abate (787). Nel periodo carolingio, gli abati Giosuè

(792-817), Talarico (817-823) ed Epifanio (824-842) completano l’opera di sviluppo e di abbellimento del complesso, trasformandolo in una città monastica sulla sponda sinistra del Volturno, ove ancora oggi è possibile ammirare i resti imponenti della Basilica del S. Vincenzo Maggiore e gli straordinari affreschi della Cripta di Epifanio.

Divenuta potente e famosa, l’Abbazia nell’881 viene attaccata, saccheggiata e distrutta dai Saraceni. Ricostruita dopo il 913, vede nascere dal 980 tanti piccoli insediamenti umani, che daranno origine e vita ai Comuni dell’alta Valle del Volturno. Di fronte alle crescenti insidie dei feudatari locali, l’Abbazia viene trasferita e ricostruita nella sede attuale, più sicura, e riconsacrata nel 1115 dal Papa Pasquale II. L’attacco più insidioso viene, dopo il 1139, da Ruggero II, re dei Normanni che, vistosi rifiutare dai monaci la nomina di un abate di sua fiducia, priva l’Abbazia dei suoi tesori e della sua autorità, facendole pagare la sua autonomia e fedeltà alla Chiesa di Roma.

Negli anni successivi al 1150, vari eventi, naturali e non, contribuiscono alla sua decadenza. E così la sua storia si interrompe per ricominciare qualche secolo più tardi con fatti e date che ne segnano la rinascita: 1832 – Viene scoperta casualmente la Cripta di Epifanio; 1942 – Il duca Catemario dona a Montecassino i possedimenti dell’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno; 1965 – Dopo la Seconda guerra mondiale viene riconsacrata la Basilica dell’Abbazia, ricostruita su progetto di don Angelo Pantoni, monaco di Montecassino; 1980 – Iniziano gli scavi ad opera del prof. Richard Hodges della British School di Roma; 1990 – Il 14 maggio si insediano, nella sede attuale, le Monache benedettine, provenienti dall’Abbazia Regina Laudis nel Connecticut (USA) e ridanno vita all’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno, che rimane una enclave del Monastero di Montecassino; 1993 – L’abate Bernardo D’Onorio, con il contributo della Regione Molise, avvia la costituzione del Parco archeologico e la realizzazione del progetto di lavoro per la valorizzazione della Città Monastica di S. Vincenzo al Volturno, con l’obiettivo di conservare la sacralità del luogo nella prospettiva del terzo millennio.

Testo tratto da  “ Isernia. Una provincia dal cuore Antico”
(Per gentile concessione della Volturnia Edizioni).

L’Acquedotto augusteo

Lungo circa trenta chilometri, l’acquedotto prelevava le acque direttamente alla sorgente del fiume Volturno per distribuirle non solo alle ville urbane, ma anche ai lotti della colonizzazione. Esso supera un dislivello di più di trecento metri, dall’imbocco (localizzato a quota 542 metri e situato in una zona del territorio di Rocchetta, non molto distante  dall’antica Abbazia di S. Vincenzo) all’arrivo a Venafro (posto a quota 225 metri, nella zona detta della Madonna di Giambarbara). Sono ancora riconoscibili molte parti di questa opera, grazie alle quali se ne può  ricostruire con certezza il percorso: esso segue la riva destra del Volturno con un tracciato tortuoso che si adatta all’andamento del suolo per  evitare quanto possibile pendenze eccessive.

La struttura è quasi completamente sotterranea, costruita in opera cementizia con pavimento di laterizi e volta a tutto sesto. Dove la roccia presentava le caratteristiche opportune, il canale è stato ricavato  semplicemente  scavando la pietra: in entrambi i casi, le pareti erano rivestite di malta idraulica quasi per l’intera loro altezza (circa 1 m.). Solo quando era  indispensabile, alcune parti vennero  costruite fuori terra, come i ponti necessari per attraversare fossi o torrenti. La  larghezza media del condotto è di 65  centimetri,  l’altezza di 160. Lungo il percorso  dell’acquedotto era collocata una  numerosa serie di cippi, tutti uguali, che riportavano la prescrizione di  lasciare liberi ai lati della conduttura due passaggi della  larghezza di otto piedi ciascuno  (m. 2,36): sono i percorsi di servizio, la cui esistenza era espressamente

prevista dalla normativa che regolava l’uso dell’acquedotto. Tale normativa, redatta tra il 17 e l’11 a.C., al tempo di Augusto imperatore, segna con molta probabilità anche la data della costruzione  dell’acquedotto.

Testo tratto da Le Guide di altri Itinerari.  “Alta Valle del Volturno”.
(Per gentile concessione della Volturnia Edizioni).