Il Paesaggio Sonoro

Quartetto di musicisti, 1900 ca. (archivio CdZ – AFCens n.30)

Come premessa a una disamina della vita musicale a Rocchetta a Volturno, credo si possa affermare, con sufficiente ragione, che il paesaggio sonoro, nel suo significato d’insieme degli eventi acustici di un luogo o di un ambiente – siano essi suoni della natura, degli animali o prodotti dall’uomo (Shafer 1985) –, nell’Alto Volturno è caratterizzato, per ciò che riguarda i suoni di produzione umana, dalla musica della zampogna e della ciaramella. E Rocchetta a Volturno è parte integrante e rilevante di questo paesaggio. In particolare lo è con la frazione di Castelnuovo al Volturno (d’ora in avanti solo Castelnuovo), luogo in cui, unitamente al limitrofo comune di Scapoli, nel corso del secolo scorso ha finito con il concentrarsi quasi tutta la tradizione mainardica dell’uso di tali strumenti (Gioielli 2005). Nell’economia del presente contributo si cercherà quindi di rappresentare questo paesaggio, tra storia e attualità e nelle sue linee essenziali, evidenziando come accanto alla zampogna e alla ciaramella – che costituiscono il sound mark (l’impronta sonora) del luogo – Rocchetta a Volturno, nel suo complesso, ha dimostrato, e dimostra tuttora, una vivacità musicale basica, diffusa, con punte di eccellenza, particolarmente ricca e variegata.

La zampogna tra passato e presente

Testimonianze soprattutto di fonte orale, raccolte con il Censimento dei beni Culturali riguardanti la Zampogna, effettuato dal Circolo della Zampogna di Scapoli nel biennio 1999-2000 nell’ambito del progetto LEADER “Vivere con la Zampogna”, riferiscono, confermando un convincimento già presente nell’opinione corrente, di un’attività musicale legata allo strumento con la sacca, riferibile a Castelnuovo a partire dal XIX e fino a tutto il XX secolo, piuttosto estesa sia dal punto di vista spaziale che delle occasioni d’uso (Caccia 2001 e 2017). Dal punto di vista storico e in relazione alla natura e alle modalità della prestazione musicale, di tale attività si possono individuare tre principali ambiti d’esercizio.

Il primo, che chiamerò di tipo domestico, attiene all’uso di zampogne e ciaramelle non solo in occasione del Natale ma anche per animare feste e ricorrenze locali, pubbliche e private, oltre che momenti di vita pastorale. Infatti, come riferito da alcuni degli zampognari più anziani tra quelli intervistati con il Censimento: «A Castelnuovo, una volta, a carnevale si ballava nelle case, si suonavano polche, mazurche, valzer, con la zampogna e la ciaramella»; «La pigliavamo anche [la zampogna] quando andavamo a pascolare gli animali» e, ancora, «Prima suonavano tutti, uomini, femmine, ragazzi; dovevi vedere quanta donne suonavano la ciaramella». Su tale ultimo aspetto v’è da rilevare che, rispetto ad altri paesi dell’area, a Castelnuovo la partecipazione femminile alla pratica musicale, di tipo tradizionale e non solo, è stata – e, come vedremo, continua ad essere – sempre piuttosto significativa. Inoltre, relativamente all’uso della zampogna in feste locali, è tuttora di attualità la presenza di zampognari nella rappresentazione della nota maschera carnevalesca Gl’ Cierv. Il secondo ambito, il più noto, persistente e connotante del paesaggio sonoro non solo di Castelnuovo al Volturno e dell’intera area ma, più in generale, dello spazio-tempo legato al Natale, è quello appartenente alla tipologia che ho definito devozionale (Caccia 2015), in cui le novene natalizie assumono un ruolo di assoluta preminenza rispetto ad altre ricorrenze ed eventi religiosi quali gli ormai sempre meno frequenti pellegrinaggi, processioni e questue rituali di vario tipo.

Un tempo, le novene natalizie erano praticate da un folto numero di zampognari. Da quanto emerso dalle interviste effettuate con il Censimento, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali da Castelnuovo partivano ogni anno, alla volta di Napoli e di altre località, una media di 60 uomini, pari a trenta coppie di zampognari, mentre oggi l’esecuzione di questo rituale paraliturgico di preparazione al Natale è praticamente caduto in disuso. Infatti, attualmente l’omaggio alla tradizione è in parte ancora adempiuto ma attraverso altre forme, quali residue questue itineranti, partecipazioni a presepi viventi, mercatini di Natale, concerti ed ogni altro tipo di evento adeguato al periodo. Anche per Castelnuovo, come per gli altri centri zampognari molisani e del centro-sud più in generale, il tempo delle “carovane” di suonatori di zampogna che «pedestremente si travasa(va)no in Napoli» a partire dalla fine di novembre – come veniva riportato nella rivista l’Omnibus Pittoresco (n. 40 del 1838) – è finito da diversi decenni, spazzato via dal massiccio esodo migratorio dei primi due decenni successivi al secondo conflitto mondiale e dai profondi mutamenti socio-economici e culturali che ne conseguirono. La zampogna, tuttavia, per fortuna sopravvisse, perché tra coloro che riuscirono a restare ve ne furono diversi che per molti anni ancora continuarono a suonarla e a tramandarla. Non solo per le novene a Natale, ma anche “fuori stagione”, dando vita, tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e in qualche misura anche nel decennio successivo, a una forma di ambulantato estivo che si snodava lungo le coste dell’Adriatico e del Tirreno per poi diffondersi nelle aree interne dell’Italia centro-settentrionale. Alcuni documenti fotografici rinvenuti nel corso del Censimento mostrano zampognari di Castelnuovo in versione balneare sulle spiagge della riviera abruzzese e toscana oltre che in diverse città del Centro-Nord.

E sopravvisse anche – iniziando un percorso di innovazione organologica e repertoriale che incrociò e in qualche modo si avvalse dell’impulso e del clima di rinnovato entusiasmo derivanti dalle attività di salvaguardia e di promozione dello strumento da parte del Circolo della zampogna di Scapoli – grazie al nuovo approccio che alcuni musicisti cominciarono ad avere nei confronti dello strumento. Fondamentale, sotto tale profilo, fu il contributo dato dall’ingresso nel 1985, nel gruppo isernino “Il Tratturo” fondato nel 1976 da Mauro Gioielli e Piero Ricci, dei musicisti di Castelnuovo Ernest Carracillo (organetto), Enzo Miniscalco (basso), Lino Miniscalco (fiati: ciaramella, zampogne, flauti), Ivana Rufo (voce, chitarra, chitarra battente, organetto e successivamente anche zampogna). Già promotori, nel 1984, di un gruppo locale denominato “Il Musichiere Folk” (del quale fecero parte anche Maria Mancini e, occasionalmente, i suonatori di zampogna Giuseppe e Domenico Rufo), i quattro musicisti castelnovesi apportarono al gruppo «nuova linfa e nuovo entusiasmo aiutando il Tratturo ad aprire una nuova fase» e ne rafforzarono la connotazione «legandolo maggiormente agli strumenti simbolo dell’area delle Mainarde, la zampogna e la ciaramella e amplificando le potenzialità espressive grazie all’arricchimento del bagaglio del patrimonio musicale tradizionale, eredità culturale di famiglia dei musicisti» (Lombardi 2014). A partire dagli anni ’90, anni in qualche modo mitici per la rinascita e lo sviluppo della zampogna, fu proprio nell’ambito de “Il Tratturo” a spiccata maggioranza mainardica che si ampliò e si consolidò la presenza del gruppo sulla scena sia nazionale, anche con la partecipazione a diversi programmi televisivi, sia internazionale con la partecipazione a importanti Festival, come quello di Saint Chartier in Francia, e in rassegne e concerti in una molteplicità di altri Paesi, non solo europei. Si crearono inoltre le condizioni e si posero le basi per la creazione, da parte di Lino Miniscalco e Piero Ricci, di due innovativi tipi di zampogne, la “zampogna a triplo chanter” di Ricci e la “sordellina molisana” di Miniscalco (Gioielli 2005), due strumenti che, ciascuno con le sue specificità, hanno ampliato le possibilità dello strumento con l’otre consentendogli di entrare anche in contesti non tradizionali.
Piace, inoltre, ed è doveroso qui ricordare che Lino Miniscalco (ciaramella) unitamente a Piero Ricci (zampogna), partecipò alla rappresentazione dell’opera di Giovanni Paisiello “Nina, o sia la pazza per amore” avvenuta a Milano il 15 ottobre 1999 con la direzione del Maestro Riccardo Muti.
Il terzo ambito, infine, è quello che ho definito di tipo professionale girovago e attiene allo spostamento, fuori dai confini nazionali, di gruppi di suonatori di mestiere che traevano la loro principale fonte di reddito dall’attività di fare e offrire musica e, talvolta, anche spettacolo (Zullo 1997). Le compagnie itineranti appartenenti a quest’ambito erano essenzialmente di due tipi, potendo essere composte o da intere famiglie o da coppie di suonatori, talvolta giovani coniugi, o da piccoli gruppi di persone solitamente legate da vincoli parentali e/o amicali stretti oppure da formazioni appositamente costituite da soggetti che non necessariamente partecipavano all’attività ma che la gestivano con criteri per così dire “imprenditoriali”.

Con i dovuti adattamenti, oggi potremmo definirli una sorta di “scafisti” ante litteram. Nel contesto di questa seconda tipologia si sviluppò la deprecabile pratica dell’incetta e dell’utilizzo dei minori nell’esercizio di un’attività di accattonaggio camuffata da musica di strada nelle principali città e paesi d’Europa e non solo. Il fenomeno interessò anche le aree delle Mainarde e del Matese (Paolino 2007). Tuttavia, nell’economia tematica e di spazio del presente contributo non mi soffermerò sul tema riguardo al quale, per quanti vogliano approfondire l’argomento, segnalo, oltre a Paolino 2007, che si occupa in modo specifico del Molise, altri due libri (riportati anche in bibliografia) che ho trovato ben documentati e particolarmente interessanti. Il primo, frutto di una corposa accurata indagine che analizza il fenomeno a livello nazionale, è I piccoli schiavi dell’arpa, di John E. Zucchi mentre il secondo, sull’emigrazione girovaga nell’Appennino ligure-emiliano, è Con l’arte e con l’inganno, di Marco Porcella.
Osservo tuttavia che il pur deprecabile fenomeno dello sfruttamento dei minori da parte di “padroni” avidi e crudeli non può e non deve attrarre nella stessa orbita di disumanità e di povertà morale tutto il mondo dei girovaghi condannandolo a una sorta di damnatio memoriae. Le compagnie itineranti a composizione familiare/ amicale ed autogestite hanno vissuto una storia irta di difficoltà e fatta di sacrifici che noi non possiamo neanche lontanamente immaginare. Ma è stata anche una storia che in cambio di pochi denari offriva musica, una storia che parla di capacità di intraprendenza, della insopprimibile ricerca umana di nuove opportunità di vita, e, perché no, di apertura e di scambio culturale. A volte, soprattutto in Francia, alcuni musicanti ambulanti riuscivano ad integrare le proprie entrate facendo da modelli per artisti, e proprio a Castelnuovo ne abbiamo un esempio nella vicenda dello zampognaro che aveva fatto da modello a Charles Moulin e che fu di pretesto al pittore di Lille per venire in questo borgo delle Mainarde che lo conquistò e dove decise di rimanere per il resto della sua vita. Nella povertà e talvolta nella faziosità delle fonti documentarie che li riguardano, i racconti di alcuni figli e nipoti di musicanti migranti vissuti tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 – che ci hanno parlato di viaggi in Russia che duravano anche due/tre anni o in Francia, in Germania, in Austria, dove pure stavano via per lunghi mesi (Caccia 2001) – costituiscono un prezioso lascito e una preziosa opportunità per gettare una luce diversa su una storia a lungo obliata o mal raccontata.

Dentro e fuori la tradizione: zampogne e non solo

Nel paesaggio sonoro di Rocchetta a Volturno, come dicevo all’inizio, accanto alla zampogna e alla ciaramella si è sviluppata un’attività musicale vivace e intensa, che ha riguardato (e riguarda) espressioni musicali diverse da quella rappresentata dagli strumenti della tradizione locale anche se poi, quasi sempre, i musicisti con formazione e progetto musicale di tutt’altro genere hanno finito con il recepire quegli stessi strumenti nei loro programmi e nella loro pratica musicale.

Restando dentro la tradizione, sia pure innovata, per quanto della compagine di musicisti confluiti nello storico gruppo “Il Tratturo” e al loro ruolo nella sua crescita ed affermazione, abbia fatto già cenno in precedenza, torno brevemente sull’argomento per mettere doverosamente in evidenza alcuni ulteriori aspetti: l’attività di Enzo Miniscalco nello studio e nella realizzazione, con le sue “mani magiche”, delle innovative e rivoluzionarie ance di plastica (Bottali 2006) e il ruolo sempre più significativo di Ivana Rufo, voce, polistrumentista, compositrice e arrangiatrice di brani del gruppo. Insegnante di musica nella scuola primaria di primo grado, Ivana Rufo è anche direttrice di cori, è stata docente, per diversi anni, nei corsi di orientamento musicale organizzati dal Comune di Rocchetta e, insieme al marito Lino Miniscalco, nei corsi per zampogna e ciaramella organizzati dal Circolo della zampogna di Scapoli.

Fuori dalla tradizione, invece, ma con un ritorno ad essa, la prima esperienza che sovviene è quella del poliedrico artista Michele Peri, pittore, scultore (è suo il monumento a Giaime Pintor edificato nel luogo in cui il giovane partigiano trovò la morte in località Santa Lucia) e musicista organizzatore instancabile di gruppi musicali che hanno avvicinato alla musica diversi giovani sia di Rocchetta a Volturno che provenienti da paesi limitrofi. In particolare, nel 1965 dette vita a un complesso rock, che eseguiva un repertorio mutuato dai gruppi più in voga in quegli anni (dai New Trolls ai Procol Harum, dai Dik Dik ai Camaleonti, all’Equipe 84 e ai The Rokes, per citarne alcuni), denominato “Gl’Arrezzenite” (gli arrugginiti) la cui prima formazione era composta da lui stesso alla chitarra, da Antonio Virgilio detto “Tottò” alla pianola, da Ludovico “Vico” Giannini al basso e da Emilio Notardonato alla batteria. Tra il 1967/68, l’organico subì alcune trasformazioni, attestandosi infine su quella composta dallo stesso Peri, Nicola Siravo di Colli a Volturno, Alberto Petrocelli di Rocchetta a Volturno, Giuseppe Tomassone di Castelnuovo e Umberto Mancini di Pizzone, dopodiché nel volgere di qualche anno, a causa del trasferimento dei vari componenti in altre sedi per motivi di studio o di lavoro, il complesso cessò di esistere. Nei primi anni ’80, grazie anche al nuovo interesse suscitato nei confronti della zampogna dall’istituzione a Scapoli della Mostra Mercato della Zampogna di fine luglio, Peri se ne lasciò conquistare al punto da rimettersi in gioco come musicista e come suonatore di questo strumento, dando quindi vita a un nuovo gruppo, l’Otre, con la partecipazione, tra gli altri, del suonatore di ciaramella di Scapoli, Livio Di Fiore, e della di lui sorella Silvana (voce). Verso la fine degli anni ’90, rinnovato ed ampliato nell’organico, il gruppo assunse la denominazione di Otre Neoethnic Group (O.N.G.) e partecipò a importanti rassegne e festival. Attualmente il gruppo non è attivo ma Peri dice di avere una gran voglia di farlo tornare a vivere.

È invece di nuovo in campo, in una composizione quasi integralmente rinnovata rispetto alla formazione omonima nata nel 2013, il gruppo Patrios che vede protagonisti due giovani musicisti del capoluogo, il tamburellista Antonello Iannotta e il giovane suonatore di zampogna Luca Casbarro. Sempre attivo, nelle formazioni di Piero Ricci, è l’organettista Ernest Carracillo mentre Nadia Notardonato, castelnovese trapiantata nel vicino Abruzzo, ciaramellaia per tradizione, clarinettista diplomata in Conservatorio per formazione, condivide il suo entusiasmo e il suo talento di musicista “itinerante” in band e contesti diversi, nel luogo di origine e altrove. Di Castelnuovo, anche se romano d’adozione, è Lino Rufo, prolifico cantautore e musicista migrante sulle strade del country/blues/jazz dal “Volturno al Mississippi”, come recita il titolo di un suo disco del 2010. Nella scia di quelle compagini familiari di artisti di strada che in altri tempi hanno percorso in lungo e in largo il continente e in cui la partecipazione femminile, spesso presente, vedeva le donne esibirsi come suonatrici di ciaramella e di tamburello, si è invece collocato, tra gli anni ’80 e i primi anni 2000, guadagnandosi un suo spazio di simpatia e di notorietà, il gruppo a composizione familiare” di Sergio Paliferro.

Infine, ma non per ultima, la banda

Rocchetta a Volturno, grazie alla frazione di Castelnuovo, è anche uno dei pochi paesi dell’Alto Volturno – gli altri sono Colli a Volturno e Montaquila – ad avere una banda musicale le cui origini riconducono, ancora una volta, all’impronta sonora del luogo, la musica della zampogna e della ciaramella, e a quella cultura musicale diffusa, portata anche oltre i confini nazionali dai musicanti girovaghi.

Secondo quanto riferisce Giuseppe Barilone – zampognaro di lungo corso, fisarmonicista, erede di una famiglia di “musicanti” e “musicante” egli stesso, ancora attivo alla rispettabile età di 90 anni compiuti da poco – in una sua pubblicazione (Storia della banda di Castelnuovo al Volturno, autoprodotta, stampata a Isernia e non datata), la banda di Castelnuovo nacque «quando nel 1904 fece rientro in paese una famiglia di suonatori, i quali nei loro spostamenti si sarebbero esibiti nei migliori locali di Parigi e due volte la settimana al palazzo reale di Vienna». Nel prosieguo del volumetto si scopre che quella famiglia altro non era che la famiglia di origine dello stesso Barilone, e che fondatore del sodalizio musicale fu proprio suo padre Pasquale unitamente ad altre sei persone di Castelnuovo. Ricostituita una prima volta nel 1921, dopo la cessazione dell’attività dovuta allo scoppio della prima guerra mondiale, la banda visse un nuovo periodo di fermo a causa del secondo conflitto mondiale, dopodiché venne riorganizzata, secondo quanto riferisce ancora Barilone, grazie a Ettore Rufo il quale avrebbe introdotto l’insegnamento della musica strumentale nei primi corsi di scuola serale per adulti da lui tenuti in paese da giovane insegnante. Nella banda hanno suonato nel tempo anche i migliori zampognari di Castelnuovo il cui elenco, peraltro non compiutamente disponibile, sarebbe troppo lungo esporre nel contesto di questo contributo ma che auspico si voglia prima o poi redigere per tramandarne il ricordo alle generazioni future. A tal fine il Circolo è disponibile a mettere a disposizione tutti i materiali raccolti nel corso delle sue ricerche. Infine, una particolarità della banda, che all’attualità vede la partecipazione anche di musicisti come Lino Miniscalco, Ernest Carracillo, Nadia Notardonato, è quella di essere una “banda-orchestrina” in grado di offrire sia le prestazioni tipiche di ogni banda musicale sia quelle di un complesso di musica da ballo. Un’altra riprova della creatività, della versatilità e della gioia di vivere di una comunità di musicanti per la quale la musica è stata fonte di vita e che ha praticato e continua a praticare senza steccati, con bravura, generosità e in allegria.

Fonte: ArcheoMolise N°33 – ANNO X – Articolo di ALESSANDRO TESTA
Diritti d’autore: Associazione Culturale ArcheoIdea

Bibliografia

Bottali, P 2006, ‘Come sono diventato “zampognaro”’, Utriculus, Vol. 40, ottobre/ dicembre 2006, pp. 13-16.

Caccia, A 2001, Portavamo la cucchiarella. Racconti e immagini di zampognari molisani del XX secolo, Circolo della zampogna, Scapoli.

Caccia, A 2015, ‘Le migrazioni degli zampognari molisani nei secoli XIX e XX’, Glocale, Vol. 8/2014, pp. 85-114.

Caccia, A 2017, ‘Il Censimento della zampogna (parte II)’, Utriculus, Vol. 53, I semestre 2017, pp. 7-41.

Gioielli, M 2005, ‘Le zampogne nel Molise’ in M. Gioielli (ed), La zampogna. Gli aerofoni a sacco in Italia, volume I, Cosmo Iannone Editore, Isernia, pp. 171-240.

Lombardi, V 2014, ‘Costruzioni musicali. Idee, musicisti, gruppi, pratiche e attività musicali in Molise fra folklore e world music dagli anni cinquanta a oggi’, Glocale, Voll. 6-7/2013, p. 81-160.

Shafer, R M 1985, Il paesaggio sonoro, Ricordi-LIM, Lucca.

Paolini, N 2007, La tratta dei fanciulli, Cosmo Iannone Editore, Isernia.

Porcella, M 1998, Con l’arte e con l’inganno, l’emigrazione girovaga nell’Appennino ligure-emiliano, Sagep libri & Comunicazione, Genova.

Zucchi, J E 1999, I piccoli schiavi dell’arpa, Marietti, Genova.
Zullo, E 1997, ‘Ballando con l’orso’, Utriculus, Vol. 21, gennaio/ marzo 1997, pp. 31-36.