Il Carnevale di Castelnuovo al Volturno

Castelnuovo al Volturno (foto: A. Testa, 2009)

Borgo di origini medievali, Castelnuovo al Volturno è un paese che si trova nel territorio amministrativo di Rocchetta a Volturno, di cui costituisce una frazione. Ogni anno vi si celebra quello che per molti aspetti è il carnevale più peculiare della provincia di Isernia, che i Castelnovesi hanno chiamato “Gl’ Cierv”.

A l calar della sera dell’ultima domenica di Carnevale, una folla di locali e visitatori si raccoglie nella piazza principale di Castelnuovo, dovutamente transennata per permettere lo svolgimento della pantomima carnevalesca de “Gl’ Cierv”, per il quale l’intero paese si va preparando da settimane.
Ad un tratto, le musiche e i riflettori che coronano lo spazio scenico concentrano la loro attenzione sulla scoscesa via pietrosa che porta alla piazza. Entra in scena il Maone, sorta di stregone del folklore locale, seguito dalle temibili janare, succhiatrici di bambini. Dopo una breve e rumorosa coreografia, le malefiche scompaiono ed un gruppo di villane, villani e zampognari, vestiti dei costumi tipici dell’area, sfila al suono dello strumento tradizionale locale, la zampogna. Segue un frangente di silenzio carico di tensione quasi religiosa. A quel punto, annunciato da un urlo – “Gl’ Cierv’!” – appare la maschera dell’uomo-animale, il quale è coperto di pelli di capra e adorno di un palco di corna di cervo. La maschera animalesca è accompagnata da una giovane similmente mascherata, ma senza corna. Agitati entrambi da una furia incontenibile, le due figure simulano bramiti ed agitano fragorosamente i campanacci che pendono dai loro velli. Solo Martino, una rassicurante maschera vestita di bianco simile a Pulcinella, riesce a domare la loro frenesia, a catturarli, ed a costringerli ad una corda. Le maschere dei popolani accusano i due esseri zoomorfi di ogni male, eppure allo stesso tempo, per addomesticarli, offrono loro della polenta, che però viene sdegnosamente e rabbiosamente rifiutata. Le due figure villose riescono allora a liberarsi, e dopo una ulteriore frenetica corsa, vengono “abbattute” dalla maschera del cacciatore, il quale, tuttavia, immediatamente le resuscita, soffiando loro nelle orecchie. I due “cervi” allora si levano quieti e, ammansiti, riprendono il loro cammino per la via che s’inerpica verso la montagna, sancendo così la fine della pantomima.

Le origini del carnevale di Castelnuovo e della sua pantomima zoomorfa sono oscure, e oggetto di discussione e opinioni divergenti. Se ne ha una prima notizia scritta negli anni ’60, ma alla fine degli anni ’70, con le prime indagini etnografiche più o meno sistematiche, ottuagenari e nonagenari lo davano per trasmesso da generazioni già all’epoca della loro infanzia. A dir di più si entrerebbe nel terreno delle ipotesi.
Certo è che la festa, e la pantomima dai forti tratti arcaizzanti e rituali che ne costituisce l’elemento chiave e più caratteristico, subirono significative trasformazioni a partire dagli anni ‘80, dopo un periodo di intermittenza tra il dopoguerra e gli anni ’70. Agli anni ’80 risale, a esempio, l’abbandono del tradizionale e diffusissimo motivo pseudo-rituale del processo e messa a morte della figura di Carnevale, che pure aveva costituito parte integrante della festa castelnovese fino ad allora.

Si possono senza dubbio immaginare e in parte dedurre le funzioni sociali e le codificazioni culturali cui il carnevale castelnovese assolveva – e contribuiva a strutturare – fino all’epoca delle grandi trasformazioni cui l’intera società italiana, e con essa il piccolo Molise e l’ancora più piccola Valle del Volturno, andarono incontro a partire dal dopoguerra. In quell’epoca, Castelnuovo era caratterizzato da un’economia pressoché esclusivamente agro-pastorale e da condizioni di vita in larga parte ancora pre-moderne, in cui insisteva un tenace analfabetismo, un’igiene precaria, e un’esperienza di vita generalmente tiranneggiata dalle stagioni e da fattori esterni alla comunità. In questo contesto, il carnevale, parte integrante del sistema liturgico e calendariale della Chiesa, da sempre presente ed egemone in queste aree, permetteva una strutturazione simbolico-rituale di una serie di aspetti della vita materiale della popolazione locale: il rapporto tra comunità e contesto ambientale, tra comunità e mezzi di produzione, tra comunità e spazio da essa abitato, tra uomini e animali, allo stesso tempo contribuendo a sancire, tramite complesse dinamiche performative fondamentalmente pro-sociali, i comportamenti socialmente accettabili e la relazione con la sfera del proibito e del sacro. Il trattamento simbolico della figura dell’uomo-animale tramite la sua integrazione all’interno dello spazio comunitario, la sua “domesticazione” rituale, e in seguito la sua espulsione, ben rappresentano la tipica dinamica carnevalesca che si sviluppa attorno all’idea dell’acculturazione e/o messa a morte dell’alterità, ma anche della sua rivivificazione – la festa di carnevale origina da feste pre-cristiane dedicate al passaggio e al rinnovamento, o meglio le sincretizza con le più tarde necessità liturgiche del calendario cristiano. In questo senso, il carnevale prima della modernizzazione di Castelnuovo si configurava come un rito del capro espiatorio, che ha innumerevoli paralleli nella cultura popolare europea rurale e/o pre-moderna. Gli anni ’50 e ’60 sono invece forieri di grandi cambiamenti sociali, economici e politici, che dal macro- livello nazionale (ma anche europeo e globale) percolano nel micro-contesto di Castelnuovo. Sono anche gli anni in cui si manifesta una certa discontinuità nella pratica del carnevale, del resto del tutto comprensibile, se si considera che il paese era stato gravemente danneggiato da un bombardamento alleato nel 1944, e considerando anche l’impatto dei nuovi stili di vita, per non parlare di un solido fenomeno emigratorio, il quale, manifestatosi drammaticamente già nel primo dopoguerra (anche a causa del bombardamento), e poi negli anni ’60, è in realtà ancora in corso, tanto che Castelnuovo perde, nell’arco di qualche decennio, circa il 400% della propria popolazione, passando dalle circa 750 anime degli anni immediatamente precedenti alla Seconda Guerra Mondiale ai circa 150 residenti stabili degli ultimi anni.

Gli anni ’70 e ’80 sono gli anni del radicarsi delle trasformazioni sociali di un’Italia ormai pienamente partecipe dell’Occidente tardo-capitalista e post-industriale. Il piccolo mondo di Castelnuovo ne è pienamente coinvolto, sebbene a suo modo. È il periodo del recupero e della rivitalizzazione del carnevale, operazioni di riabilitazione che si configurano anche e soprattutto come reazione culturale ai processi disgregativi portati da nuovi stili di vita (tra cui una crescente secolarizzazione), dalle nuove forme di comunicazione e di trasporto, e dalla consequenziale, sempre più impattante emigrazione. Gli anni ’90, invece, sono il periodo di più fervide iniziative (tanto dal basso che da parte di enti, istituzioni, e anche personalità legate alla cultura e alla politica locali): sono gli anni della crescente mediatizzazione (con l’apparizione di giornali, televisioni e documentari) e “de-localizzazione” del carnevale, che comincia a circolare in circuiti più ampi, ma anche della sua ”istituzionalizzazione”: nel 1993 nasce l’Associazione Culturale “Il Cervo”, la quale, oltre a farsi carico della conservazione, organizzazione, e promozione dell’evento, innesca una serie di ulteriori modifiche nella struttura e nelle forme della pantomima e delle sue maschere; innesca, tra le altre cose, un processo di riconfigurazione delle tradizione locale che sa da un lato ne esalta – almeno “emicamente” – gli aspetti arcaici e rituali, dall’altro ne cambia profondamente la natura, “spettacolarizzandola” e “incantandola”. Risalgono agli anni ’90 e ai primi anni 2000, per fare qualche esempio, l’innesto della figura della cerva, la danza delle janare e del maone, la sfilata dei villani e delle villane, il gesto del gettare una manciata di grano alla fine della rappresentazione (un interessante atto concepito da molti come genuinamente magico), l’uso di luci e impianti audio di scena, così come la transennatura della piazza, che separa inesorabilmente il “pubblico” dalla “scena” – separazione che, come le altre modifiche testé menzionate, era inedita fino agli anni ’90. Va d’altronde precisato che le fonti primarie e secondarie scritte, dapprima (fino alla fine degli anni ’70) scarse, poi man mano (fino agli anni ‘90) più ricche ed esaustive, permettono di documentare con un soddisfacente grado di dettaglio le trasformazioni a cui il carnevale va incontro durante il processo di recupero e rivitalizzazione, e fino a oggigiorno.

Il frangente che intercorre tra gli anni ’90 e gli anni 10 del 2000 è foriero di ulteriori profondi cambiamenti non solo del carnevale, ma della intera comunità in cui esso ha luogo, in linea con quella che gli scienziati sociali e gli storici hanno definito l’“accelerazione” delle dinamiche e dei cambiamenti socio-culturali nell’epoca tardo-moderna. Questi cambiamenti si riflettono non solo nella pantomima, ma anche nel più suo più largo “campo” simbolico e sociale. Il carnevale di Castelnuovo diventa, in un certo senso, uno specchio attraverso il quale è possibile osservare diversi aspetti della vita della comunità locale, così come processi di respiro addirittura globale: dalla pervasività di forme di comunicazioni digitali alla circolazione ormai transnazionale di rappresentazioni del magico e primitivo; dalla mobilità del turismo culturale nazionale alla produzione regionale della tipicità e costruzione sociale dell’identità locale e dei diversi gruppi all’interno del villaggio; dai cambiamenti politicamente determinati dei rapporti impersonali ai tipi di strutturazione sociale più o meno formali, formalizzati, e formalizzanti (come le relazioni familiari e quelle amicali, passando per forme più tipicizzate e gerarchizzate come quella patrono-cliente, o semplicemente più strutturate, come quelle della cerchia dei membri della già ricordata associazione culturale). Le dimensioni micro e macro si incontrano e compenetrano all’insegna della riconfigurazione simbolico-rituale della tradizione locale, al centro della quale campeggia la figura ormai quasi totemica e tutelare dell’uomo-cervo. (Per un’analisi antropologica dettagliata delle singole maschere e della struttura rituale del carnevale prima e dopo il recupero degli anni ’70-’80 rimando al libro segnalato nel box bibliografico).

Gli effetti di questo fascio di recenti fattori e processi socio-culturali, alcuni dei quali ancora del tutto in atto, sono visibili nell’evento di oggi: pur ambendo a una continuità assoluta con il passato e definendosi quasi dogmaticamente un “rito antichissimo”, “Gl’ Cierv” è però cambiato in passato e continua a cambiare nel presente. Questo tipo di reificazione comunitaria della tradizione locale, specie se di natura festiva e rituale, è del resto tipica dei contesti rurali e marginali nell’Europa contemporanea globalizzata, interconnessa, e “fluida”, in cui comunità spesso lasciate preda di impoverimento e spopolamento necessitano sempre più di poli simbolici forti per appigliarsi a una realtà altrimenti costantemente cangiante e franosa, e come tale percepita.

Per questa stessa ragione, il carnevale di Castelnuovo è stato anche al centro di diversi “conflitti di interpretazione”, visto che i diversi attori sociali operanti sulla scena della tradizione locale e della sua riconfigurazione hanno voluto proporre – e a volte imporre – la loro visione dell’evento: autoctoni, giornalisti, avventurieri, etnologi professionisti o amatoriali, studiosi, studenti, preti, turisti, e così via, in un caleidoscopio di voci che circolano e si incrociano tra prospettive emiche ed etiche, come si direbbe in gergo antropologico, influenzate e strutturate da diversi capitali sociali e culturali, diversi immaginari e sensibilità estetiche, diverse spiritualità e visioni del mondo. “Gl’ Cierv’” è oggi un evento molto diverso da quello della memoria dei più attempati anziani così come della sua versione ancora “popolare” degli anni ’60. Esso è figlio piuttosto del recupero e della rifunzionalizzazione iniziati alla fine degli anni ’70 e in buona parte conclusi alla fine degli anni ’90. I cambiamenti più macroscopici degli ultimi 15 anni circa, invece, riguardano piuttosto aspetti esterni alla pantomima in sé. Uno di questi aspetti che non sono stati menzionati finora è quello della “commercializzazione” della festa e della creazione di una micro-economia, d’altronde alquanto diversificata, gravitante attorno e all’interno dell’evento festivo, micro-economia che si manifesta in un numero sorprendentemente elevato (ovviamente in proporzione alla scala del contesto) di transazioni di vario tipo e di enti e agenti sociali (pubblici e privati) coinvolti. L’altro aspetto, del resto collegato a quello appena ricordato, è quello di un’ormai prorompente turistificazione, che ha reso l’evento un vero e proprio polo di attrazione non solo locale ma regionale e interregionale. Peculiare forma di intrattenimento invernale e oggetto di interazioni economiche impensabili fino a qualche decennio fa, il carnevale di Castelnuovo ha riconfigurato anche alcune tendenze migratorie stagionali e “di ritorno”, tanto presso la piccola comunità del borgo quanto delle zone limitrofe.
Un vero “fatto sociale totale”, come avrebbe scritto l’antropologo Marcel Mauss.

Per concludere, mi piacerebbe menzionare brevemente un aspetto importante e di “lunga durata” che però, purtroppo, non può esser affrontato in questo scritto per ragioni di spazio: quello della comparazione tra il carnevale di Castelnuovo e altre simili (a volte in realtà quasi identiche) forme festive e rituali che si rintracciano nella storia d’Europa dal medioevo a oggi, e che sono state oggetto di diversi studi storici e antropologici. Rimando il lettore curioso al contenuto del seguente box bibliografico per ulteriori approfondimenti al riguardo.

Fonte: ArcheoMolise N°33 – ANNO X – Articolo di ALESSANDRO TESTA
Diritti d’autore: Associazione Culturale ArcheoIdea

Bibliografia

Testa, A 2014, Il carnevale dell’uomo-animale. Le dimensioni storiche e socio-culturali di una festa appenninica, Loffredo, Napoli, 610 p.

Testa, A 2013, ‘Mascheramenti zoomorfi. Comparazioni e interpretazioni a partire da fonti tardo-antiche e altomedievali’”, in Studi Medievali, n. 54 (1), pp. 63-130.

Testa, A 2009, ‘La maschera del Cervo di Castelnuovo al Volturno. Breve introduzione alla storia ed alle interpretazioni di una pantomima tradizionale’, in ArcheoMolise, n. 2, pp. 48-61.

I primi due testi sono liberamente accessibili, consultabili, e scaricabili alla pagina web https://univie.academia.edu/AlessandroTesta